La Bibbia secondo Lorenzo Lotto
Le Tarsie di Lorenzo Lotto
Le trentasei immagini enigmatiche ideate da Lorenzo Lotto e intarsiate da Giovan Francesco Capoferri – nel progetto originale trentadue avrebbero dovuto svolgere un ruolo simbolico sui coperti lignei posti a protezione delle corrispondenti storie veterotestamentarie - formano un Mutus Chorus atto a stimolare meditazioni intellettuali e spirituali.
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Tratto dall'introduzione di: Mauro Zanchi, La Bibbia secondo Lorenzo Lotto, Bergamo 2003
Le invenzioni
Le “invenzioni” pittoriche di Lotto sono mutuate dall’ars retorica del Rinascimento, la quale, nell’esposizione delle Sacre Scritture, si addentra nel testo per investigare i sensi più arcani; questa ricerca dei significati enigmatici delle divine scritture era definita dal termine latino “inventio”, che assolveva il duplice compito di trovare nel testo il senso mistico (spirituale, allegorico, anagogico e topologico) e il senso storico.
Al contempo ogni personaggio, ogni episodio, ogni nome ed ogni cosa che sono presenti nella Bibbia hanno, secondo l’ermeneutica, un quadruplice senso: uno letterale, uno allegorico, uno morale e uno anagogico. Nel periodo in cui Lotto stava elaborando le sue invenzioni (dal 1524 al 1531) il modello retorico -strutturato in tre momenti: inventio, dispositio e compositio - “è così universalmente presente da condizionare in certa misura non solo chi costruisce (per un fine) un discorso, ma anche chi elabora (per un fine) un’immagine; più naturale ancora è che ne sia influenzato chi vuol descrivere momenti o fasi del processo di elaborazione di un’immagine” [1]. |
Riconoscendo le capacità e le competenze teologiche di Lotto, sin dall’inizio dei lavori i committenti della Misericordia di Bergamo avevano concesso a Lotto un margine di libertà utile per non considerare vincolanti le istruzioni scritte dal frate francescano Girolamo Terzi (il teologo più autorevole di Bergamo in quel periodo), per elaborare al meglio immagini atte a stimolare visivamente i significati allegorici, morali e anagogici allusi dalle storie bibliche.
La committenza aveva ingaggiato il frate minorita (Nel Liber Fabrice Chori il primo compenso a Terzi per le “invenzioni” risale al 2 maggio 1523), nel ruolo di consulente teologico da affiancare a Lotto per approntare, nel coro della Basilica di Santa Maria Maggiore, un progetto unitario in cui fossero sviluppati episodi veterotestamentari con la finalità di offrire esempi di virtù e di vizio, per incitare all’imitazione dei primi e all’abbandono o al rifiuto dei secondi.
A Venezia, nel periodo in cui porta a termine la creazione dei cartoni (1526-31), Lotto assiste alle prediche e alle pubbliche discussioni di tesi nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo; queste tesi di filosofia e teologia (“conclusiones”) venivano preventivamente affisse alle porte delle chiese veneziane più importanti o in altri luoghi pubblici e discusse alla presenza dei patrizi veneziani.
I predicatori più famosi in questi anni sono il domenicano Benedetto da Foiano, quaresimalista ai Crociferi, a S. Salvador, predicatore a S. Polo e a S. Marco, fra Damiano Loro, dottore e professore in teologia, predicatore ai SS. Giovanni e Paolo e in S. Marco, introdotto anche nella diplomazia veneziana, e il francescano fra Bartolomeo Ronzio, predicatore nella chiesa di S. Francesco della Vigna.
È Lotto stesso che ci informa, in una lettera scritta alla Misericordia di Bergamo, delle sue frequentazioni alle prediche quaresimali, tanto da essere stato colpito dalla storia di Giosuè che ferma il sole proponendola per una delle tarsie destinate a schermare i pilastri del coro: “storia de Iosuè che firmò il sole che in questa quadragesima lo sentì ricordar dal nostro predicatore” (Lettera datata maggio 1527).
Durante il soggiorno al monastero dei SS. Giovanni e Paolo, Lotto è in contatto con il Vice Priore Ludovico Martini, un biblista, e con il predicatore Damiano Loro; i due valenti dottori domenicani potrebbero aver discusso con il nostro pittore sui temi esegetici delle “inventione” a cui stava lavorando per elaborare i cartoni con “storie” anticotestamentarie.
Secondo Cortesi Bosco, Lotto “possedeva una cultura religiosa che andava oltre il grado d’informazione comune ai credenti che frequentavano i riti liturgici e seguivano la predicazione, frutto di personali interessi, coltivati anche in relazione al proprio lavoro, frequentando dotti e religiosi e ovviamente attraverso letture. All’epoca si disponeva di fonti enciclopediche, di dizionari che davano il senso spirituale delle parole e delle cose. Tra questi, largamente diffuso a livello europeo nel XV-XVI sec. e destinato, come avverte il Prologo, ai predicatori, era il Dictionarius seu Repertorium morale (1340) del benedettino francese Petrus Berchorius (Pierre Bersuire), amico del Petrarca […] ” [2].
A Venezia, allora, Lotto aveva a disposizione, oltre alle “invenzioni” scritte in volgare dal Terzi, un ricco repertorio di informazioni di stampo verbale utili per andare a completare il suo già colto bagaglio di spiritualità o per trovare risposte e risoluzioni ai dubbi teologici in corso di creazione dei cartoni.
A sua volta fra Terzi aveva consultato, molto probabilmente, un’edizione della Bibbia con Glossa interlineare e ordinaria, con le Postille e il commento morale di Nicolò da Lyra, il celebre teologo francescano del XIII-XIV sec. raffigurato da Raffaello, come ricorda il Vasari, fra i teologi della Disputa del Sacramento, in ginocchio vicino all’altare, con lo sguardo rivolto verso S. Girolamo[3].
Il teologo bergamasco forniva a Lotto soggetti in eccedenza, con indicazioni teologiche omogenee agli intenti della committenza, e il pittore veneziano sceglieva le “invenzioni” che più gli stimolavano buone immagini, così da realizzare un progetto d’insieme, scartando le soluzioni di mera applicazione e tenendo solo quelle opere più riuscite, quelle ispirate e di vera arte, adatte a irretire l’intelletto e il cuore del fedele per stimolare meditazioni di profonda spiritualità.
Lotto ha creato anche una serie di immagini simboliche, ovvero “picture a claro et obscuro” che avrebbero dovuto fungere da coperti protettivi il cui significato enigmatico fosse conforme alle “historie” bibliche; queste immagini, perlopiù, sono chiamate da Lotto con il termine “imprese”; alcune altre, invece, sono geroglifici di quella cultura umanistica che tanto aveva apprezzato gli Hieroglyphica di Orapollo (testo di autore del II-IV sec. d. C.), introdotti a Firenze nel 1419 e che diedero inizio alla moda dei geroglifici nelle corti degli stati italiani, moda intellettuale visibile anche nell’ Hypnerotomachia Poliphili, celebre romanzo di Francesco Colonna edito a Venezia nel 1499 dall’editore Aldo Manuzio, che tanto influenzò gli ambienti culturali veneziani e trevigiani frequentati da Lotto.
A proposito delle immagini simboliche da lui create per il coro, Lotto scrive nella lettera spedita ai Reggenti della Misericordia, datata 10 febbraio 1528: Circha li disegni de li coperti, sapiate che son cose che non essendo scritte, bisogna che la imaginatione le porti a luce: perciò mai me sono venute di vena pur una, et non mi meraviglio de niente perché mal son careciato da voi, anci svilito et vituperato et menaciato in le vostre lettere. Piacienza. Io ne uscirò, piacendo a Dio, con li andamenti che ho fedelmente fino qui espressi per debito de l’homo, etiam ultra, per natura mia.
Il fronte dell’iconostasi
Le quattro “storie” poste sul fronte dell’iconostasi (leggendo da sinistra verso destra, sono: “Sommersione di Faraone”, “Arca di Noè”, “Giuditta con la testa di Oloferne”, “Davide e Golia”), protette simbolicamente dai rispettivi coperti geroglifici o ad “impresa”, si possono considerare una summa di tutti i temi e di tutte le allusioni sviluppati nelle “invenzioni” e nei pannelli simbolici collocati sul perimetro interno del Coro intarsiato di S. Maria Maggiore, che funge da sacro recinto posto a protezione del Sancta Sanctorum.
Associate alle otto tarsie sopradette vi sono le due “imprese” collocate nei piedistalli delle sedie all’ingresso frontale del Coro: “Amore sulla bilancia” con il motto “NOSCE TE IPSUM” (“conosci te stesso”) e “La nutrizione del Lapis con il latte di capra” accompagnata da una tavola muta che pende dall’Alto tenuta da un nastro, tavola senza scritta per suggerire l’ineffabilità del Mistero divino.
Tutte le dieci immagini poste all’entrata frontale formano una sintesi del percorso iniziatico – accessibile solo all’intuizione mistica – che ha la capacità di condurre l’“eletto” a Dio, percorrendo la via della Grazia.
Ad imitazione del “popolo eletto”, il fedele cristiano viene invitato simbolicamente ad iniziare un viaggio di conoscenza, un esodo interiore per raggiungere la propria “terra promessa”.
Ecco, allora, che nella prima “stazione” del viaggio iniziatico viene rappresentata, nella “Sommersione di Faraone”, la liberazione del popolo eletto dal giogo egiziano dedito al culto politeista. In chiave di metafora, sul coperto simbolico, Lotto rielabora il tema dell’episodio biblico suggerendo ulteriormente un altro viaggio di liberazione: la liberazione dalla schiavitù della Vanitas (le “maschere” dei poteri ecclesiastici e politico-militari, e il serpente morto), dal limite, dalla paura della morte e dall’ignoranza (gabbia sulla testa). Questo esodo avviene a dorso dell’asino spronato da Dio con dodici fiamme - nella tradizione ebraica l’asino è una cavalcatura reale e un simbolo positivo legato al significato dell’umiltà sapiente; anche nella cultura cristiana evoca Gesù che, con sapiente umiltà, entra nella Gerusalemme del Vecchio Testamento per portare la nuova parola salvifica che libera, per mezzo della resurrezione, il fedele dalla morte: “Io sono la via, la verità, la vita” – e con l’ausilio degli indispensabili strumenti di conoscenza interiore e del mondo misurabile razionalmente (specchio e compasso).
L’uomo nudo che cavalca l’asino porta sulle spalle un mantello gonfio di brezza misteriosa, simbolo della virtù profetica (vedi la “storia” di Giona, in cui il profeta tira fuori il mantello dalla bocca del grande pesce, e la figura di Elia che, ascendendo al cielo sul carro di fuoco, passa le consegne profetiche ad Eliseo cedendogli il proprio mantello); il particolare del mantello suggerisce un’interpretazione che vede l’uomo come una figura positiva, un condottiero o un profeta, capace di liberare un popolo dalla gabbia e di condurlo sulla via che porta a Dio, e non come una caricatura negativa di Faraone che, peraltro, nella “storia” è abbigliato con un’armatura e a dorso di un cavallo, mentre gli asini sono raffigurati in primo piano, colti nell’atto di uscire dal guado portando in salvo il carico del popolo ebraico, le botti piene di quell’acqua necessaria per continuare il viaggio nei deserti.
La conoscenza di se stessi e della propria natura è indispensabile per iniziare questo viaggio iniziatico; la condizione è dettata dal motto “NOSCE TE IPSUM” che accompagna l’“impresa” di Amore sulla bilancia (posta nel piedistallo del lato sinistro dell’iconostasi, all’entrata centrale del coro), imperniata sul significato del raggiungimento, tramite l’Amore, dell’equilibrio e dell’illuminazione necessari per far ascendere l’anima sino all’unione mistica con Dio.
Nell’ “impresa” de l’Arca di Noè viene evocata una purificazione per mezzo dell’acqua battesimale e del fuoco dello Spirito Santo che, nell’immagine della colomba che porta nel becco il ramo d’ulivo, rende possibile il patto di alleanza fra Dio e i suoi fedeli.
Dio trinitario è qui simboleggiato nella figura geometrica del triangolo che contiene strumenti dell’Alchimia atti alla realizzazione delle operazioni di saggiatura, di fusione e di purificazione, necessarie per mettere alla prova colui che sta percorrendo questo viaggio iniziatico.
L’allusione alla purificazione delle anime corrotte tramite il diluvio, e per rimando, al rito cristiano del Battesimo che monda dal Peccato Originale, è arricchita simbolicamente dall’immagine del crogiuolo di Dio per evocare, allo stesso tempo, anche tutte le citazioni veterotestamentarie riguardanti la punizione divina atta a purificare i cuori e a correggere coloro che gli stanno vicino; sulla tabella è incisa la scritta “RESTAURATIO HUMANA” per indicare ulteriormente l’allusione alla correzione dei cuori di coloro che credono in Dio, alla restaurazione dell’umanità.
L’immagine del crogiuolo richiama le citazioni della Bibbia riferite anche, ulteriormente, a tutte le quattro “storie” poste sul fronte dell’iconostasi; viene suggerito l’episodio della liberazione dall’Egitto: Voi invece, il Signore vi ha presi, vi ha fatti uscire dal crogiolo di ferro, dall’Egitto, perché foste un popolo che gli appartenesse, come oggi difatti siete. (Deuteronomio 4, 20).
C’è un riferimento al popolo corrotto e decaduto che Dio deve castigare col Diluvio, per purificarlo: “Io ti ho posto come saggiatore fra il mio popolo, perché tu conoscessi e saggiassi la loro condotta. Essi sono tutti ribelli, spargono calunnie, tutti sono corrotti. Il mantice soffia con forza, il piombo è consumato dal fuoco; invano si vuol raffinarlo a ogni costo, le scorie non si separano. Scoria d’argento si chiamano, perché il Signore li ha rigettati.” (Geremia 6, 27-30).
E ancora: “Ognuno si beffa del suo prossimo, nessuno dice la verità. Hanno abituato la lingua a dire menzogne, operano l’iniquità, incapaci di convertirsi. Angheria sopra angheria, inganno su inganno; rifiutano di conoscere il Signore. Perciò dice il Signore degli eserciti: “Ecco li raffinerò al crogiuolo e li saggerò; come dovrei comportarmi con il mio popolo?” (Geremia 9, 4-6). E anche: “[…] Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme. Come si mette insieme argento, rame, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere; vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città. Come si fonde l’argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa: saprete che io, il Signore, ho riversato il mio sdegno contro di voi.” (Ezechiele 22, 19-22).
Viene richiamato un passo dell’intervento di Giuditta ai capi di Betulia, quando ricorda loro che Dio mette alla prova il suo popolo come ha fatto in passato con i padri: “Certo, come ha passato al crogiuolo costoro non altrimenti che per saggiare il loro cuore, così ora non vuol far vendetta di noi, ma è a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino.” (Giuditta 8, 27)
Viene evocata anche la figura di Davide che, secondo la tradizione, è l’autore dei Salmi: “Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo, come l’argento.” (Salmo 66, 10)
La prova della saggiatura alchemica, allora, è intesa come rimando alla prova che Dio impone ai suoi “eletti” per trovarli degni di sé e per farli crescere spiritualmente: “Il crogiuolo è per l’argento e il forno per l’oro, ma chi prova i cuori è il Signore.” (Proverbi 17, 3) e “Anche se agli occhi degli uomini [le anime dei giusti] subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto.” (Sapienza 3, 4-6) o “Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Affidati a lui ed egli ti aiuterà; segui la via retta e spera in lui” (Siracide 2, 4-6) e anche: “Stenderò la mano su di te, purificherò nel crogiuolo le tue scorie, eliminerò da te tutto il piombo” (Isaia 1, 25).
In sintesi, allora, la pietra di paragone, contenuta nel sacchetto con la cordicella che forma il numero 8, allude alla saggiatura che Dio fa nei confronti dell’anima del fedele: se l’“eletto” è veramente puro, la sua anima si salverà nell’Arca e vedrà l’apparire del nuovo sole della vita eterna, se invece è “oro falso” perirà in mezzo ai flutti del diluvio assieme a tutta l’umanità corrotta.
Nel Cinquecento il fronte dell’iconostasi era posto fra il Battistero, collocato fino al XVII secolo sul fondo della navata centrale della basilica, e il Giudizio Universale, affrescato in origine nel catino dell’abside (dal 1593 coperto dall’Assunzione della Vergine di Gian Paolo Cavagna); l’iconostasi, con le “storie” e con le “imprese”, fungeva da punto di raccordo fra l’inizio e la fine del percorso rituale di ogni fedele cristiano: l’acqua battesimale evocava la rinascita in Cristo, mentre il Giudizio Universale alludeva alla fine e al compimento di ogni cosa, alla rinascita nell’eternità dello Spirito divino.
Le altre due “invenzioni” collocate sul fronte destro dell’iconostasi, Giuditta con la testa di Oloferne e Davide e Golia, celebrano invece la potenza del Signore che sconfigge, per mano dei suoi prescelti, il “diabolus”, ovvero il male personificato nei nemici di Israele: Oloferne, il generale del potente esercito di Nabucodonosor, e Golia, il gigantesco guerriero filisteo, simbolo di colui che, privo di fede, fonda tutte le sue forze sulle false certezze.
L’ “impresa” di Davide e Golia, che recita il motto “MAXIMI CERTAMINIS VICTORIA” (“La più grande vittoria del combattimento”), rappresenta l’epilogo del viaggio iniziatico, il punto d’arrivo dell’esodo interiore nel percorso dove viene distinta esemplarmente la contrapposizione fra la virtù e il vizio. Nella “storia” Lotto rappresenta questo avvenimento attorno e dentro a un palcoscenico teatrale che diviene simbolo del Teatro del Mondo, in cui si muovono, contemporaneamente, gli attori della finzione, i personaggi archetipali del racconto e le persone che vivono nella quotidianità.
A questo punto del percorso, lo Spirito Santo aiuta l’eletto a vincere il combattimento contro il più grande gigante corazzato che ognuno tiene dentro di sé: l’ego. Questa vittoria interiore è la condizione “sine qua non” per poter accedere alla visione panica del Tutto, alla pienezza spirituale di Dio.
Gli episodi in cui gli “eletti” Giuditta e Davide per mano del Signore sconfiggono i nemici di Israele evocano la vittoria del cristiano nella lotta contro il male, nel combattimento quotidiano contro i vizi e contro l’ignoranza, nel nome del coraggio e della forza infusi dallo Spirito di Dio.
Questo combattimento interiore contro le forze maligne che albergano in ogni essere umano prevede la faticosa ricerca del bene, della Sapienza e della Virtù; chi fosse giunto a questo ultimo livello sarebbe stato premiato con la palma della vittoria e incoronato con l’alloro (emblemi presenti sul coperto simbolico).
La tarsia della Nutrizione del Lapis, che rappresenta l’omega di tutto il percorso iniziatico del coro, dà la saggia indicazione, a colui che è giunto alla meta del viaggio, di continuare ogni giorno a mantenere vivo ciò che si è conquistato con fatica; l’immagine rivela di seguitare a nutrire il Lapis filosofale ottenuto e a dare sostentamento alla pietra angolare che sostiene la Terra (allusa dalla capra), sopra cui edificare qualsiasi tempio, sia interiore che esteriore, pena la perdita delle conoscenze acquisite, l’inaridimento, l’oblio e il vuoto.
La Bibbia ambientata nelle terre della Serenissima e nell’intelletto
Le certezze del primo Rinascimento - ben significate simbolicamente dalle visioni prospettiche perfette, ideali, dalle architetture scandite da proporzioni euritmiche, dalle figure umane bloccate nei movimenti come in un’istantanea fotografica – nelle opere presenti nel coro della basilica di Bergamo sono diligentemente eluse dall’inquietudine di Lotto, il quale preferisce sviluppare le sue “storie” in ambientazioni architettoniche asimmetriche e governate da linee che confluiscono in punti di fuga eccentrici, dove lo sviluppo narrativo si muove cineticamente per sequenze in successione.
Lotto attinge dal pozzo dell’antichità e dello spirito medievale, portando alla luce il secchio colmo di immagini care all’ars memorandi: egli riprende in mano il vasto mondo dei linguaggi simbolici del passato e lo rielabora attualizzandolo nella nuova poetica di matrice umanistica.
Allo stesso tempo mette in scena gli archetipi, allestendo nella sua mente Teatri di Memoria, palcoscenici, scenografie e luoghi intrisi di naturalismo lombardo che prendono corpo sulla carta per essere proiettati nello sguardo degli spettatori.
Le ambientazioni vivono sull’accumulo di monumenti archeologici dell’antichità romana in cui ergono la loro mole simbolica obelischi egiziani; le scene all’aperto svolgono il racconto biblico rappresentandolo in abiti alla moda veneziana e in paesaggi agresti, in declivi collinari che digradano su panoramiche marine; le architetture moderne sono di fantasia, anche se potrebbero essere benissimo costruzioni riprese dal vero da reali monumenti del Cinquecento.
Invece, Lotto raffigura una finzione reale, un ossimoro visivo giocato a volte sull’iperbole, per catturare meglio, anche con l’aiuto di parecchi dettagli “bizzarri” o con evocazioni simboliche, l’attenzione dello spettatore esterno.
Ecco, allora, che le architetture con serliane, apparentemente veristiche, sono invece da riferire ad un’urbe onirica; i palazzi, che potrebbero essere veramente stati costruiti da Peruzzi, da Serlio, o da qualsiasi altro architetto del primo Cinquecento, non sono invece riconoscibili e attribuibili ad una città reale perché Lotto vuole introdurre lo sguardo in una realtà “altra”, in una dimensione interiormente vera, interscambiabile illusionisticamente con ciò che l’occhio vede tutti i giorni camminando in una città reale.
In questa dimensione “ossimorica” partorita dal genio dell’artista, gli allestimenti della mente divengono costruzioni oleografiche della realtà contingente, i velieri veri vengono intrappolati nei gorghi della tempesta, avvengono i naufragi nell’abisso di grandi pesci archetipali: le storie ebraiche, accadute molti secoli prima della nascita di Cristo, si muovono nell’interiorità di un individuo ogni volta che qualcuno legge il racconto delle Sacre Scritture o ogni volta che lo sguardo di una persona si immedesima in un’immagine rappresentata per rievocare un racconto, per coniugare così al tempo presente la storia del passato.
Questa dimensione “altra” viene suggerita da Lotto per mezzo di un punto di vista quasi sempre rialzato, che permette al fruitore di cogliere l’insieme dello sviluppo narrativo scandito da momenti in sequenza cinetica.
E il paragone con il cinema e il teatro non è un azzardo anacronistico, poiché Lotto veramente pare voglia ricreare un’altra realtà, che è finzione ma crea l’illusione mnemonica del vero.
Al contempo, il nostro pittore descrive un vasto campionario di umanità, cogliendo le persone nei gesti della vita quotidiana scandita dai ritmi della contemporaneità del primo Cinquecento: all’interno delle rappresentazioni bibliche c’è chi pigia l’uva per fare il vino, chi tosa o munge le pecore, chi urina, chi defeca, chi impugna le armi, chi cuce, chi porta al pascolo il gregge, chi cavalca, chi dorme ebbro, chi uccide, chi serve i cibi al banchetto, chi si riunisce in consiglio, chi spia, chi dialoga, vi sono madri che allattano i pargoli, bimbi che si attaccano alle sottane della genitrice o che si rifiutano di ubbidire, donne che tolgono le vivande dai sacchi per imbandire una tavola improvvisata sui declivi erbosi, paggi che reggono le vesti della regina o che eseguono gli ordini del re, vi sono persino metaspettatori che assistono a rappresentazioni del teatro sacro.
I personaggi sono descritti con un’attenzione veristica che sa cogliere una gestualità eloquentemente naturale: i visi, le espressioni, le posture sono raffigurate da una mano che ha toccato in prima persona il variegato repertorio degli esseri umani colti nella loro complessità psicologica.
Lotto sa esprimere i sentimenti e le emozioni della gente, riuscendo a rendere visibile, sulla superficie esemplare dell’arte, il dolore dei personaggi biblici, i loro desideri, le loro “pruderie”, le aspirazioni alte degli eletti e le bassezze delle anime deboli, le piccolezze degli infami, i bisbigli, i pettegolezzi, la spontaneità dei bimbi, gli appetiti dei bisogni primari, le losche trame di chi vuole il potere, le gelosie, gli omicidi, il desiderio di maternità delle donne sterili, gli stupri, gli incesti, le bugie, i sogni, i grandi slanci mistici, il coraggio, il pianto del re, le derisioni, le imprecazioni, le preghiere, le teofanie, i duelli, le battaglie, le prove sovrumane di fedeltà a Dio, gli esempi di vita attiva o contemplativa.
Lotto è un artista che si può definire un inquieto mistico realista, una sintesi eccellente fra una sensibilità di stampo nordico attenta alla realtà contingente (mi riferisco alla sensibilità dei pittori ponentini, Memling, Van Eyck, Luca di Leyda, Van der Weyden, Van der Goes, Bouts, e alla visione dell’arte nelle opere di Dürer e Grünewald) e una sensibilità italiana che ha visto in prima persona a Roma, a Venezia, a Firenze, e nelle città lombarde le opere artistiche, filosofiche, architettoniche, teologiche innovative dei più grandi geni del Rinascimento.
Sansone tradito da Dalila (1530) |
Coperto simbolico di Sansone tradito da Dalila (1531) ultima immagine creata da Lotto per il coro bergamasco |
[1] S. Settis, Artisti e committenti fra Quattro e Cinquecento, in Storia d’Italia, Annali, IV, 1981, pp. 727-28.
[2] F. Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri, pp. 140-41.
[3] Cfr. F. Cortesi Bosco, op. cit., pp. 140-144.